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Responsabilità medica: difficoltà di intervento e gravità della patologia nell’accertamento della responsabilità

Ottobre 20, 2022

Responsabilità medica: difficoltà di intervento e gravità della patologia nell’accertamento della responsabilità

La Corte di Cassazione fa chiarezza sul concetto di grado della colpa medica: è la difficoltà dell’intervento a rendere possibile l’esclusione della responsabilità del medico per colpa lieve.

Segnaliamo una recente Sentenza della Cassazione Civile che presenta interessanti profili in tema di responsabilità medica e di accertamento della colpa lieve.

Il caso nasce da un procedimento civile incardinato dai genitori di una minore nei confronti dell’Azienda Ospedaliera e dei medici che la ebbero in cura. Gli attori richiedevano risarcimento per danni conseguenti ad errato trattamento di displasia congenita.

 

Il Tribunale di primo grado accoglieva la richiesta di risarcimento e riconosceva la responsabilità sia in capo alla Struttura Sanitaria che ad uno dei due medici che avevano eseguito l’intervento.

La Sentenza veniva impugnata dal medico soccombente e dall’Assicurazione dello stesso.

La Corte D’Appello accoglieva l’Appello del medico e della sua compagnia assicurativa, rigettando così la domanda di risarcimento. I Giudici di secondo grado basavano la propria decisione ipotizzando solo una colpa lieve del sanitario, non rilevante ai sensi dell’articolo 2236 c.c.

Avverso tale decisione è stato proposto Ricorso per Cassazione.

La Corte di Cassazione è stata interessata da due questioni:

  • La prima questione riveste carattere procedurale e la si riporta per completezza: la struttura sanitaria può limitarsi ad impugnare la parte di sentenza relativa alla responsabilità del medico, ritenendo “assorbita” o comunque inclusa la questione della responsabilità propria della struttura stessa?

La Cassazione rileva che: il Tribunale aveva accertato un inadempimento della Azienda Ospedaliera insito nelle carenze organizzative necessarie a quel tipo di intervento e di cura. Trattandosi di un capo autonomo di decisione, avrebbe dovuto essere impugnato autonomamente.

  • La seconda questione è di particolare interesse e concerne l’accertamento della gravità della colpa. La gravità della colpa va valutata con riferimento alla difficoltà dell’intervento o con riferimento alla gravità della patologia?

In tema di colpa lieve, la Suprema Corte richiama la regola generale per cui la colpa lieve vale ad escludere la responsabilità quando l’intervento medico sia di particolare difficoltà e solo ove si tratti di imperizia, non già di negligenza o imprudenza, casi questi ultimi in cui anche la colpa lieve è fondamento di responsabilità.

In conclusione, l’accertamento della gravità della colpa, deve svolgersi con riferimento alla difficoltà dell’intervento piuttosto che con riferimento alla gravità della patologia. 

Nel caso in esame la responsabilità del sanitario era stata esclusa, affermando la colpa lieve, sia sulla base della gravità della patologia che sulla base del fatto che non era stato possibile provare la causa della mancata guarigione.

La Cassazione osserva che questa ratio si espone però a rilievi critici.

Il primo è che l’individuazione della colpa lieve deriverebbe da un difetto di prova della “corretta centratura delle teste dei femori”. Tale difetto di prova, secondo la Suprema Corte, dimostrerebbe semmai una colpa tout court e pertanto un’erronea manovra medica.

La Suprema Corte afferma poi che, per poter correttamente operare una distinzione tra colpa lieve e colpa grave è necessario un ulteriore criterio, diverso dal mero insuccesso in sé.

Tale criterio può essere individuato nella difficoltà di intervento che può rendere la colpa meno grave e giudicabile con minor rigore; l’art. 2236 c.c. fa riferimento a “problemi tecnici di speciale gravità” e tale assunto sul piano sanitario dovrebbe identificarsi nella particolare difficoltà tecnica di curare una data patologia.

Nel caso di specie non era pertanto riscontrabile la colpa lieve del sanitario anche alla luce del fatto che la neonata fu successivamente sottoposta a delicati interventi chirurgici che le permisero di tornare a camminare solo dopo tre anni, sia pure con un’invalidità permanente.