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Responsabilità medica e liquidazione del danno differenziale

Luglio 15, 2019

Il danno iatrogeno differenziale, species del danno biologico, si definisce come danno all’integrità psicofisica della persona collegato all’aggravamento di una lesione o di una patologia preesistente, ascrivibile alla colpa di un terzo o a cause naturali, derivato dal comportamento colposo di un sanitario.

La configurazione di tale fattispecie richiede pertanto la seguente successione causale:

  1. una patologia preesistente nel soggetto per cause naturali o per colpa di terzi;
  2. l’intervento di un medico per curare la lesione del paziente;
  3. l’errore colposo o doloso del medico nella gestione del paziente;
  4. il conseguente aggravamento della patologia o la mancata guarigione.

Negli ultimi anni il danno iatrogeno differenziale ha assunto un’importanza via via crescente nel dibattito teorico-giuridico, che ruota essenzialmente attorno ai due profili fondamentali dell’an e del quantum.

Il primo problema è relativo all’accertamento del nesso eziologico.

Il quesito che ci si pone è se in caso di peggioramento dello stato di salute di un paziente, causato da un errore di un sanitario, a quest’ultimo possa essere imputato solo l’aggravamento della patologia o l’intero danno complessivo patito dal soggetto.

La giurisprudenza è ormai unanime nel propendere per la seconda ipotesi, ritenendo che al medico sia imputabile l’evento nella sua interezza, comprensivo dunque anche della patologia originaria. In altre parole, il medico risponde di tutta la sequenza causale evidenziata in precedenza.

La lesione iniziale rappresenta difatti un antecedente logico necessario, in quanto è proprio su di essa che si inserisce la condotta colpevole. Quindi, anche in caso di concorso tra più cause, la responsabilità del medico per danno iatrogeno non è né esclusa, né limitata.

  1. La prima ragione è che l’art. 2055 c.c. considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento stesso, l’unicità del «fatto dannoso», non delle condotte che l’hanno causato. La norma, dunque, fa riferimento alla posizione del soggetto che subisce il danno e in cui favore è stabilita la solidarietà, con la conseguenza che “la suddetta unicità del fatto dannoso deve essere intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, ricorrendo, pertanto, tale forma di responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempreché le singole azioni o omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno” (Cass., sez. III, 4 giugno 2001, n. 7507). Non v’è dubbio quindi che la lesione del bene “salute” costituisca un danno unitario, in quanto il suddetto bene rappresenta un diritto assoluto e non frazionabile ex art. 32 Cost. Ne consegue che più condotte colpose che, anche attingendo diversi distretti corporei, generino un’invalidità permanente, sono causa di un “unico danno” ai sensi dell’art. 2055 c.c.
  2. La seconda ragione è che quando le condotte del responsabile del primo danno e del medico che l’ha aggravato integrino gli estremi di una cooperazione colposa nel delitto di lesioni, di tale reato risponderanno entrambi i soggetti. In maggior dettaglio, l’autore delle lesioni meno gravi è responsabile anche di quelle più gravi, ai sensi dell’art. 111 c.p. Tutti e due i responsabili, pertanto, sono tenuti ex art. 187, comma 2, c.p. a risarcire in solido il danno causato da tale delitto, senza che sia possibile distinguere, per quanto attiene al profilo esterno dell’obbligazione solidale, tra le varie condotte dei correi.

La quantificazione del danno differenziale

La sussistenza di un danno iatrogeno può far sorgere problemi particolari nella liquidazione quando:

  • il danneggiato agisca nei confronti del medico chiedendo non il risarcimento dell’intero danno patito, ma soltanto il risarcimento dell’ulteriore danno iatrogeno;
  • uno dei corresponsabili, che abbia risarcito il danneggiato per intero, agisca in regresso ex art. 2055 c.c. nei confronti dell’altro coobbligato.

Vertendosi in tema di obbligazioni solidali, nulla vieta difatti al danneggiato di domandare il risarcimento dell’intero danno in giudizi promossi separatamente sia contro il medico che contro l’autore della prima lesione.

a) Nel caso dunque di giudizi instaurati per il ristoro del solo danno iatrogeno, era prassi di alcuni uffici giudiziari chiedere al C.T.U di accertare quale fosse il grado di invalidità permanente residuato al danneggiato, e quanta parte di esso fosse stato causato dalla lesione originaria. Il C.T.U. era pertanto chiamato a fornire al giudice due valutazioni percentuali: una per il danno originario, l’altra per il danno iatrogeno. Questa prima teoria non ha trovato accoglimento per evidenti problemi di equità.

b) Una seconda modalità operativa consisteva invece nel quantificare il danno iatrogeno differenziale – e l’entità del relativo risarcimento – sottraendo dalla percentuale di invalidità permanente complessiva la percentuale attribuibile alla patologia o lesione preesistente.

c) Infine, l’ultima opzione, che è stata quella poi adottata dalla giurisprudenza (Cass. n.6341 del 2014), consiste invece nel quantificare il danno differenziale non con la differenza tra le percentuali di invalidità, bensì con la sottrazione dei valori monetari di tali percentuali.

Il danno iatrogeno è infatti un danno differenziale, per liquidare il quale occorre procedere col metodo logico della “prognosi postuma”, quindi:

a) stabilire quali sarebbero stati il grado di invalidità permanente, la durata della malattia, il danno morale e il danno patrimoniale che la vittima avrebbe subito ove il sanitario non fosse incorso in colpa professionale;

b) stabilire l’effettivo grado di invalidità permanente, l’effettiva durata della malattia, l’effettivo danno morale e l’effettivo danno patrimoniale patito dalla vittima;

c) detrarre il valore sub a) da quello sub b).

La differenza va pertanto calcolata non sul grado di invalidità permanente, quanto sui valori monetari. Sarà pertanto necessario dapprima liquidare il danno biologico complessivo patito dalla vittima, quindi liquidare il danno biologico che sarebbe verosimilmente residuato in assenza del fatto illecito: la differenza costituirà il danno iatrogeno del quale il medico deve rispondere.

Esempio: ipotizziamo che un paziente di 30 anni riporti una lesione pari a 15 punti percentuali di invalidità permanente; a seguito di un errore medico la patologia, a causa dell’aggravamento, viene invece valutata con un’invalidità del 25%.

Con il secondo metodo di calcolo (non applicato dalla giurisprudenza), il danno differenziale si quantificherebbe attraverso la sottrazione delle due invalidità, ossia 25%-15%.

Al danneggiato spetterebbe quindi un risarcimento relativo ad un punteggio di 10 punti percentuali di invalidità permanente, che attualmente è pari a €23.884,00 secondo quanto stabilito dalle tabelle milanesi.

Con il terzo metodo (quello attualmente in vigore) è invece necessario prima calcolare gli importi monetari di entrambe le percentuali d’invalidità e poi procedere alla sottrazione, quindi:

€112.766,00 (risarcimento per 25% invalidità) – €45.790,00 (risarcimento per 15%) = €66.976,00.

Come notiamo, già a percentuali non elevatissime la differenza tra i due metodi di calcolo è molto evidente, ciò spiega perché la giurisprudenza abbia adottato quest’ultimo criterio per garantire una maggior tutela al paziente danneggiato.